Abbiamo affrontato ancora una volta un tema di grande interesse: un argomento che coniuga l’attualità con il mondo del marketing e gli studi scientifici sul consumatore che ne sono alla base. Quando poi questo mondo coinvolge i bambini e il loro sano sviluppo psicologico, il dibattito tra i nostri attenti cittadini di OpinionCity non può che essere ampio e articolato. 

Con quasi 3.000 voti, i cittadini di OpinionCity si sono espressi così

Molto/Abbastanza 23% 

Poco/Per niente     77% 

Dal mondo dei testimonial a quello degli influencer 

La differenza sostanziale tra testimonial e influencer è che il testimonial, per rendere efficace il messaggio commerciale, deve essere un personaggio già noto, una celebrity come si dice ora. 

Il testimonial si rivolge ad un pubblico vasto ma con cui non interagisce direttamente, lavora recitando un copione e non ha nessun riscontro immediato sul maggiore o minore successo della sua azione pubblicitaria. 

L’influencer, invece, può essere chiunque, anzi il suo messaggio è tanto più penetrante quanto più è veicolato da una persona normalissima; è qualcuno che appare come un consigliere spassionato e attendibile proprio perché slegato dai circuiti tradizionali del marketing. 

L’influencer non ha un pubblico, ma dei follower con cui condivide momenti di vita e con cui intrattiene rapporti quasi amichevoli, conquistando la loro fiducia. Questo è sufficiente a stimolare nei follower un bisogno di imitazione se non addirittura di identificazione. Così, è sufficiente che l’influencer, mentre chiacchiera pacificamente di una qualsiasi banalità del suo quotidiano, sorseggi una certa bevanda, indossi un certo braccialetto giocherellando con i ciondoli, o prenda in mano un certo modello di smartphone, ed ecco che questo basta a stimolare in chi guarda un desiderio di identificazione e di possesso. 

Non è nemmeno particolarmente importante che la platea dei follower sia molto numerosa. Oggi il marketing si affida molto a mini-influencer (utenti che hanno profili seguiti da 10.000 a 100.000 follower) o addirittura a nano-influencer (da 1000 a 10.000 follower) perché questi hanno delle grandi capacità di persuasione e di coinvolgimento all’interno della loro ristretta cerchia di seguaci e risultano quindi particolarmente utili a raggiungere piccole nicchie di mercato dove mancano leader di settore. 

I baby influencer: nascita di un fenomeno antropologico 

Ma come e quando è nato il fenomeno dei baby influencer? Da studi effettuati da sociologi e antropologi, pare che tutto sia cominciato anni fa con le mamme blogger: all’inizio dell’era digitale, molte mamme, soprattutto di primi figli, cominciarono ad aprire blog sui quali descrivevano le loro esperienze con il bebè, condividendole con altre giovani mamme alle prese con gli stessi problemi. I blog diventavano così luogo di scambi di consigli e di esperienze. 

Con l’avvento di Instagram e di altri social network, le mamme blogger hanno rinunciato a scrivere testi lunghi e dettagliati, passando a tipi di comunicazione più immediata, basata essenzialmente su immagini. Le immagini hanno sostituito i testi e i bambini sono diventati protagonisti. 

Oggi, tra i baby influencer, troviamo figli di coppie famose che condividono le foto dei loro pargoli nei vari momenti del quotidiano, mettendo bene in mostra outfit, giocattoli e accessori di vario genere. In alcuni casi, le celebrities stabiliscono dei veri e propri accordi commerciali o delle partnership pubblicitarie con aziende produttrici. 

Ma non è detto che i bimbi influencer siano sempre figli di personaggi noti. Dal momento in cui i genitori hanno scoperto l’interessante aspetto economico della faccenda, sono spuntati come funghi canali YouTube e account Instagram che hanno come protagonisti bambini.

Generalmente, vediamo questi bimbi in scene che sembrano del tutto naturali ma che in realtà sono dei set cinematografici specificamente allestiti da genitori che si sono trasformati in abili registi della loro prole. Quanto più la scena appare naturale e il bambino si mostra sereno e a suo agio, tanto più penetrante sarà il messaggio che si vuole trasmettere. 

Così, per esempio, un video di un bimbo che apre a ripetizione uova di cioccolata o scatole di giocattoli facendo espressioni buffe e divertite, riceve milioni di visualizzazioni e va a solleticare il gusto dell’aprire scatole a sorpresa. E’ il fenomeno dell’unboxing che con queste modalità va a pubblicizzare il mondo dell’e-commerce

Le leggi sui Baby Influencer 

Sì, ma chi tutela il bambino? Esistono leggi specifiche che disciplinano una materia così delicata? Per la verità, finora esiste molto poco. 

La Francia è il primo paese ad aver emanato recentemente una legge a tutela dei baby influencer. Lo scopo della legge è quello di regolare la presenza dei bambini nelle piattaforme digitali e social, tutelando sia l’aspetto economico che quello d’immagine dei minori. 

In Italia non esiste una legge specifica che tuteli i bambini nel mondo online: si fa riferimento alle leggi che ne tutelano gli interessi quando i minori sono impiegati nel mondo dello spettacolo o in altre attività sportive o commerciali. 

Tuttavia, il caso dell’impiego di bambini in un mondo virtuale non coinvolge solo l’aspetto economico e commerciale ma interessa tutto quanto attiene al diritto all’immagine e alla tutela della privacy. 

E, soprattutto, è necessario dare importanza preminente all’aspetto del sano sviluppo psicologico del minore, scaraventato in un mondo troppo grande per lui, in cui è molto facile confondere realtà e finzione perdendo dei sani punti di riferimento. 

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