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I test sensoriali: il case study

I test sensoriali prevedono la misurazione delle caratteristiche di un prodotto attraverso gli organi di senso. In modo specifico, olfatto e gusto, vengono utilizzati come veri e propri “strumenti per la misurazione” degli attributi sensoriali del prodotto in esame.

 L’analisi sensoriale si può applicare a qualsiasi prodotto o servizio la cui fruizione passi attraverso gli organi di senso e che abbia un’interazione con la persona: dagli alimenti, ai profumi, dai cosmetici ai tessuti. Ovviamente cibi e bevande, specialmente quelli fortemente caratterizzati e ad alto contenuto edonistico, sono da sempre soggetti a valutazione organolettica e quindi storicamente sono i primi e più importanti prodotti a cui si rivolge l’analisi sensoriale.

 I giudici sensoriali sono coloro che sono in grado di effettuare tali misurazioni: si tratta di persone opportunamente selezionate e poi specificamente addestrate che devono saper riconoscere senza problemi alcuni sapori fondamentali come l’amaro, l’acido, il sapido ecc. e percepirne la presenza a valori di soglia molto bassi.

 Non è facile essere selezionati come giudici sensoriali: i candidati devono essere non fumatori con un palato particolarmente sensibile che verrà specificamente “allenato” durante la formazione, non devono soffrire di riniti, non devono essere daltonici. Inoltre, non devono soffrire di allergie o intolleranze e, naturalmente, non devono avere nessun pregiudizio alimentare.

 I candidati giudici seguono dapprima un corso di formazione con un Ricercatore esperto in Scienze Sensoriali, per imparare a riconoscere le caratteristiche specifiche degli alimenti e misurarne l’intensità percepita. Solo dopo questa prima scrematura, si delinea un “panel” di giudici sensoriali. Il panel è sempre coordinato e guidato dal responsabile del laboratorio, il “panel leader”.

La riunione preliminare

Ogni test sensoriale si apre con una riunione preliminare in cui il panel leader incontra i giudici selezionati per quel test e procede ad una fase di formazione specifica in cui stabilisce insieme ai giudici i descrittori, cioè una serie di attributi che andranno a comporre la scheda di valutazione sensoriale del prodotto.

 La formazione, che può prevedere una o più sedute, è specifica per ciascun prodotto che i giudici sono chiamati a valutare: per esempio, nel caso del caffè si farà una formazione su parametri d’obbligo come l’amaro, l’acidità, l’astringenza, la schiuma, a cui si possono aggiungere altri parametri come l’intensità del colore, il corpo, la tostatura, il sapore di liquirizia o di cioccolato; per un test sensoriale sul formaggio, la formazione verterà sulla sapidità, sull’odore di fieno, di caglio, di latte cotto.

 Per “allenare” il palato dei giudici, il panel leader fa provare loro alcuni riferimenti classici per il prodotto, per esempio la caffeina per la valutazione dell’amaro. I riferimenti vengono proposti allo stato puro e a concentrazioni molto basse per valutare la sensibilità del giudice e i suoi valori di “soglia”.

In cabina

Una volta terminata la fase preliminare, arriva il momento del test e i giudici, generalmente 8 -10, entrano nelle loro cabine del laboratorio sensoriale. Si tratta di cabine singole attrezzate con lavandini e computer. Le cabine sono tutte bianche e possono essere illuminate a luce bianca o a luce rossa.

I prodotti, contraddistinti sempre da codici diversi, vengono assaggiati a rotazione e con ripetizioni e il giudice deve esprimere la sua valutazione utilizzando una scala numerica; i dati vengono raccolti con programmi appositamente studiati per i test sensoriali e analizzati statisticamente dal panel leader.

La valutazione espressa dai giudici sensoriali non è mai una valutazione personale “di gusto”, ma una vera e propria misurazione fatta con metodo scientifico. Un buon panel di giudici, come un gruppo di termometri ben tarati, arriverà a dare la stessa valutazione numerica ai descrittori concordati per il prodotto oggetto della ricerca.

Test sensoriali e shelf life del prodotto

Il termine shelf-life significa “vita di scaffale” e indica la vita commerciale del prodotto, cioè il tempo che intercorre tra la produzione e la vendita nel quale è necessario che la qualità del prodotto resti intatta. In questo periodo avvengono inevitabilmente delle modifiche alle caratteristiche organolettiche dell’alimento che determinano un decadimento progressivo della sua qualità, senza però compromettere la sua sicurezza igienico-sanitaria. I principali fattori che influenzano la shelf-life di un prodotto sono la temperatura di conservazione e il packaging.

I test sensoriali sono particolarmente utili nel valutare la shelf-life di un prodotto: si può “misurare” come cambiano nel tempo certe caratteristiche come la friabilità di un biscotto in relazione al confezionamento o per esempio il grado di ossidazione nel tempo di una miscela di caffè, rivelato dal comparire del sapore di “cartone bagnato”. Questo aiuta le aziende a valutare la corretta shelf-life del prodotto.